MI SEMBRAVA CHE ERO UNA NUVOLA

GIAMPAOLO MAZZARA

 

Il bambino impone la sua fisicità fin da quando prende residenza nello spazio privilegiato della pancia della mamma. In un tempo destinato a trascorrere in fretta, il suo corpo dovrà fare i conti con i banchi di una scuola che dà spazio e attenzione prevalentemente al verbale e al cognitivo.
Per l’adulto che ha acquisito competenze e abilità, non è immediato riconoscere come ogni piccolo movimento sia un gradino superato, un mattoncino collocato, un passo verso la costruzione di se stesso. Talvolta, vive il movimento del bambino come disturbo, come eccesso da contenere e da omologare a parametri che poco o nulla hanno a che fare con i suoi bisogni reali.
Per quanto nella Scuola dell’Infanzia si lavori molto sull’attività motoria e questo sia l’ordine di scuola in cui si fa più movimento, si rischia che il suo valore risulti scontato, fino quasi a essere banalizzato.
Non si tratta di organizzare e proporre un numero maggiore di attività basate sul movimento, ma di tener conto di come il bambino viva il suo corpo in ogni momento della vita, di come il corpo sia fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi evolutivi, dal piano dell’apprendimento a quello delle competenze motorie, da quello relazionale a quello comunicativo. E così, di dare attenzione al valore simbolico, all’interazione tra corpo e movimento, espressione e rappresentazione del rapporto con la realtà.
“L’Io è prima di tutto un Io corporeo, non è un’entità di superficie, ma è la proiezione di questa superficie”. Le parole di Freud (1993)1 aprono una prospettiva straordinaria sul senso del divenire e dell’essere di ogni individuo, in ogni momento della sua vita. Esse pongono il corpo al centro delle intuizioni dell’Autore.
Il corpo scopre ed è scoperto, esprime, manifesta, sente, comunica. Un corpo aperto ma che talvolta si chiude.
Spesso gli educatori rilevano la perdita di abilità di base nel bambino: insicurezza, impaccio nel muoversi, difficoltà nel controllo del gesto e dell’azione, nella postura, disarmonie fisiche. Piuttosto che far rispettare regole, atteggiamenti standardizzati, e incentivare attività che tendono a passivizzare il bambino e a rendere ripetitivo e meccanico il suo agire, sarà opportuno favorire la conquista personale e la creatività attraverso il gioco libero e il movimento, penalizzati in stretti confini abitativi e sociali che non rispondono al bisogno di potersi muovere in libertà, correre, saltare, far rumore, urlare, lanciare, lottare, dondolarsi, calciare, arrampicarsi, rotolarsi a terra. “Il bambino impara giocando da quando nasce… Restituiamo il piacere di scoprire, giocando, concetti scientifici e abilità tecniche.”2.
“Mi sembra che ero una nuvola”.
Filippo fino a qualche secondo prima era sdraiato su una stoffa color azzurro pallido.
Nell’esperienza vissuta, il suo corpo ha sperimentato la leggerezza, sorretta da quel pezzo di stoffa e dall’immaginazione.
Ha cinque anni: è già in grado di immaginare.
“Ma quella vicina mi spingeva il braccio!”.
Movimenti lenti e ritmati gli hanno permesso di sentirsi una piccola nuvola e di realizzare una grande nuvola con altri corpi che si incontrano e vanno a costruire l’unità, prima impensabile.
Corpi distesi, in posizioni diverse, le mani accarezzano le stoffe, qualcuno cerca il vicino, le dita si sfiorano, cenni di risolini, occhi chiusi, occhi aperti, piedi irrequieti, piedi tranquilli, … seduti a terra. Il corpo è ancora protagonista. Ne descriviamo caratteristiche e meravigliose trasformazioni. Corpi – che formano il nostro cerchio – interagiscono, rispondono e si oppongono, alti e bassi, sì e no, sorrisi e musi lunghi.
Un’armonia non sempre facile da costruire e da accogliere, che diventa possibile solo se ci si libera dalla propensione a imporre un presunto ordine fatto di silenzio, di assenza di movimento e di espressività.
Secondo Merleau-Ponty, il bambino sperimenta la coscienza di essere ”in rapporto con le cose, attraverso la mediazione del corpo”3. Grazie all’esperienza vissuta, Filippo, Dario, Assunta e tutti gli altri hanno sentito il proprio corpo e quello del vicino, ne hanno percepito i movimenti, ne hanno colto il peso e hanno manifestato un senso di leggerezza. Sono stati nuvola e hanno provato il piacere di aver volteggiato sospesi nel cielo.
“Non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per far scuola, ma solo di come bisogna essere per fare scuola”4.
L’adulto che voglia risultare credibile deve mettersi in gioco! Se lavora con bambini piccoli, deve saper giocare!
Il suo corpo entra in modo determinante nella dinamica educativa: il suo aspetto, il modo di muoversi nello spazio, i gesti, le posture, gli sguardi, il tono della voce, l’odore.
Sia egli un badante, che lascia il bambino agire da solo, mentre lui fa dell’altro con occhio vigile (nel gioco delle nuvole per lui i bambini “facevano finta …”).
Oppure un domatore, per cui il lavoro è una vera lotta con le “piccole belve”.
O, magari, un partecipe, sempre vicino al bambino senza invadere. (Si sarebbe stupito e commosso di fronte a quel cielo di nuvole).
Qualunque sia lo stile prevalente, i propri riferimenti valoriali, gli atteggiamenti acquisiti, certo è che l’attenzione va posta sul bambino, sul suo modo di essere, riconosciuto come fulcro del processo educativo, facendo partire da lui orientamenti e priorità.
La scelta determinante è quella di assumere e proporre il movimento non tanto come semplice esercizio, ma come espressione dell’identità, nella sua unicità e globalità. Accogliendo la molteplicità di modi di essere di ogni singolo individuo e le molteplici identità che differenziano un gruppo di bambini.

 


Pubblicato in Rivista Scuola dell’Infanzia, Giunti Scuola, 2018.

 

 

BIBLIOGRAFIA

1 Sigmund Freud, L’Io e l’Es, Opere, Boringhieri, 1993.
2 Mario Lodi, Cominciare dal bambino, Einaudi, 1977.
3 Maurice Merleau-Ponty, Il corpo vissuto, Il Saggiatore, 1979.
4 Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967